Psicologia dello sviluppo

LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO

La madre possiede la capacità di contenere le angosce del bambino, fungendo da “contenitore” : si chiama holding, cioè “sostegno”.
Il temine viene introdotto da Winnicott, un pediatra e psicanalista inglese che studiando la relazione madre-bambino, si rese conto di quanto una madre sufficientemente buona potesse intervenire nel dare istintivamente amore al proprio bambino e ritirarsi quando questo non ne necessita. Per holding, si intende non soltanto il sostegno fisico ma anche psichico proprio perché i bambini ancora non possiedono la capacità di gestirsi autonomamente anche sul piano affettivo.
Il medico parlava anche di handling ossia un insieme di manipolazioni materne che la donna mette in atto per relazionarsi al bambino al di là delle semplici cure e pulizie: i giochi corporei, le carezze, i piedini, il mordere scherzosamente il pancino. Sono tutti comportamenti rinforzanti la relazione e che rendono il bambino consapevole della propria corporeità, dell’esistenza di una relazione di fiducia e permettono lo  sviluppo del processo di personalizzazione.

La funzione materna nel condizionare lo sviluppo mentale ed il pensiero del bambino è stata studiata ed approfondita in seguito da diversi autori.
In particolare, la mamma è in grado di restituire al bambino degli oggetti (pensieri) vissuti come “cattivi” in “bonificati”, “buoni”. Se tali oggetti vengono percepiti, ascoltati e rielaborati attraverso una visione “diversa”, meno “minacciosa” e “persecutoria”, le paure dei piccolo, i loro atteggiamenti, le loro reazioni di fronte a grossi spaventi, si modificano.
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IL DISTURBO IPERCINETICO NEI BAMBINI (ADHD o DDA/I)
Che cos'è?
Con il termine CINESIA, si indica la capacità di operare contrazioni volontarie dei muscoli scheletrici che permettono un movimento complesso ed armonioso teso ad un determinato scopo. Per IPERCINESIA s'intende invece, un eccesso di attività motoria dovuta ad una mancanza d'inibizione di movimenti involontari. In psichiatria il termine viene utilizzato per indicare un'iperattività riscontrabile negli stati maniacali.
Gli acronimi ADHD (Attention Deficit/Iperactivity Desorder) in lingua inglese e DDA/I (Disturbo da Deficit Attenzione/Iperattività) in lingua italiana, indicano appunto questo disturbo comportamentale.
Studiata per la prima volta nel 1902 da Still, con il nome di "Deficit del controllo morale e di un'eccessiva distruttività" era considerata come la causa di  una forte encefalite associata ad una forte febbre.
Nel 1930, l'iperattività e la disattenzione vengono considerate come un danno cerebrale minimo, per evidenziare l'origine neurologica, anche se minima, di tale disturbo.  




Sempre più spesso i bambini segnalati dalle scuole alle Strutture Sanitarie presentano un problema di iperattività. Ciò genera nei genitori, notevoli ansie poiché vengono spesso lasciati ignari di quanto e cosa accadrà sia al figlio sia a loro stessi.
Tuttavia, molti bambini particolarmente attivi, ma con capacità attentive inferiori rispetto alla media, possono creare problemi di gestione sia in contesti scolastici che familiari.
Da cosa dipende?
L’ipercinesia può derivare da differenti cause sottostanti (disordini emozionali, disfunzione del SNC, una componente genetica) o può essere un comportamento normale esasperato: a 2 anni i bambini sono soliti essere attivi e raramente riescono a star fermi, a 4 anni hanno un’attività intensa e rumorosa. 
Questi comportamenti sono correlati con lo stadio di sviluppo in atto, ma spesso portano a conflitti fra genitori e figli causando apprensione nei primi; mentre un comportamento estremamente iperattivo associato a disturbi motori, percettivi o psicologici è patologico.
Il “Disturbo Deficitario dell’Attenzione/Iperattività” indica un disturbo del comportamento dovuto ad una perturbazione del trattamento dell’informazione da parte del cervello dove si presenta un problema neurologico o biochimico. La natura del disturbo, infatti, ha una componente biologica innata, con forti caratteristiche ereditarie, ed una di tipo educativo-ambientale. 
Secondo un’ipotesi più accreditata, il bambino nasce con una predisposizione a sviluppare i comportamenti tipici di tale disturbo la cui gravità dipende dalla situazione ambientale in cui vive. In certi casi i genitori manifestano lo stesso tipo di comportamento del figlio, il quale, sviluppa determinati atteggiamenti per effetto della “mimica comportamentale”. 
Anche anomalie genetiche, traumi cerebrali, ipoxia fetale (anomalia del flusso di ossigeno al cervello del bambino che solitamente si verifica durante la gravidanza o durante il parto), stress familiare, esposizione a sostanze tossiche (alluminio, piombo, mercurio, ecc.) giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo di tali disturbi.
Si tratta di un disturbo poco visibile alla nascita ma che si fa più evidente con l’età.
E’ spesso sospettato quando il comportamento del bambino diventa socialmente perturbatore, soprattutto all’inizio della scolarizzazione. Il bambino è molto disattento ed impulsivo, non controlla il suo comportamento e subisce la sua impazienza e la sua disorganizzazione. E’ inoltre un disturbo duraturo, nel senso che il bambino iperattivo non manca di buona volontà, ma la continua disattenzione gli crea delle difficoltà di apprendimento, benché queste non dipendano da una deficienza intellettiva.
L’iperattività non va confusa con la semplice vivacità, né con la negligenza pedagogica (eccessivo permissivismo o mancanza di precisione dei limiti che porta a capricci ripetuti), né con una disfunzione dello sviluppo (ritardo del linguaggio, mentale o disturbi emozionali), né con patologie più gravi (psicosi, schizofrenia, mania, depressione mascherata o sindrome di Gilles de la Tourette); ma presenta caratteristiche specifiche relative sia alla difficoltà di concentrazione sia all’iperattività.
Quali sono i sintomi?
Sono bambini che presentano:
- scarsa attenzione mantenuta (distraibilità precoce); 
- debole persistenza nell’esecuzione dei lavori, in particolar modo se prolungati e ripetitivi.
- difficoltà organizzativa di compiti ed attività; 

- incapacità di portare a termini i compiti senza un supervisore. 
Ciò comporta un rapido raggiungimento del livello di stanchezza, di noia e apatia che si manifestano con frequenti spostamenti da un’attività, non completata, ad un’altra; 

- inadeguato controllo degli impulsi: trovano cioè difficoltà nel fermarsi a pensare prima di agire, manifestando l’incapacità nel controllare i propri comportamenti non adeguati rispetto alle richieste dei contesti socio-ambientali; 
- eccessiva loquacità: il bambino non riesce a controllare i propri impulsi interrompendo continuamente ogni altra attività; 
- eccessiva attività fisica, emotiva e mentale: il bambino muove continuamente gambe e ginocchia o lancia oggetti, si sposta spesso da una posizione all’altra, dando luogo ad atteggiamenti distruttivi ed autodistruttivi; 
- difficoltà nel seguire le regole; 
- disinteresse a partecipare ad attività di gruppo; 
- eccessiva impulsività, irrequietezza, aggressività, ma allo stesso tempo è estremamente introverso e sensibile; 
- conseguente difficoltà nell’apprendimento e nelle discipline scolastiche pur avendo un normale Q.I., dovuta non alla capacità di comprendere ma soprattutto alla difficoltà di concentrarsi e fissare l’attenzione; 
- insonnia, sonno disturbato e con frequenti incubi, il che compromette anche le prestazioni diurne; 

Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività persiste fino all’adolescenza in circa 2/3 dei casi e fino all’età adulta in circa 1/3 se non addirittura la metà dei casi. Esso si associa a disturbi dell’adattamento sociale (personalità antisociale, alcolismo, criminalità), basso livello accademico ed occupazionale, problemi psichiatrici. La sua presenza, e soprattutto persistenza, rappresenta uno dei migliori predittori in età infantile di cattivo adattamento psicosociale in età adulta.
La presenza di altri disturbi
Il DDA/I può essere associato ad altre patologie quali i disturbi dell'apprendimento:
- Dislessia
- Discalculia
- Disortografia
- Disgrafia
- difficoltà locomotorie e di coordinazione ed ipersensibilità a luci, suoni ed odori. 
Questi bambini incorrono anche in disturbi di tipo emozionale, come: 
- l’instabilità emozionale per il difficile controllo delle emozioni; 
- problemi sociali o difficoltà a stabilire con gli altri contatti duraturi, con conseguente sentimento di isolamento sul piano sociale; 
- depressione, in quanto spesso, di fronte al fallimento scolastico e al rifiuto dei compagni, possono scoraggiarsi fino a deprimersi.
Qual è la sua evoluzione?
Le caratteristiche associate variano a seconda dell’età e del livello di sviluppo: insorgono intorno ai 3/4 anni con un aumento delle difficoltà tra i 6/7 anni  e vengono diagnosticate durante l'ingresso a scuola, includendo scarsa tolleranza alla frustrazione, accessi d’ira, prepotenza, caparbietà, eccessiva insistenza sul fatto che le loro richieste siano soddisfatte, labilità d’umore, demoralizzazione, disforia, rifiuto da parte dei coetanei e scarsa autostima. I risultati scolastici sono spesso compromessi, determinando conflitti con la famiglia e le autorità scolastiche. Infatti, la non corretta applicazione ai compiti che richiedono attenzione e sforzo prolungati viene spesso interpretata dagli altri come indice di pigrizia, di scarso senso di responsabilità e di comportamento oppositivo. Le relazioni familiari sono spesso caratterizzate da risentimento e antagonismo, soprattutto perché la moltitudine dei sintomi del bambino spinge i genitori a credere che tutto il comportamento inopportuno sia volontario. Rispetto ai compagni, il livello di istruzione è conseguentemente inferiore con scarsi risultati nel futuro, in ambiti lavorativi.
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LE INSEGNANTI DI UN ALUNNO DI PRIMA
Il bambino ha compiuto 6 anni nel mese agosto ed ha un fratellino di 2 anni.
Anche nella Scuola dell’Infanzia si era evidenziata una certa difficoltà nei processi di apprendimento.
Nella Scuola Primaria ha subito dato l’impressione di avere problemi di comportamento che l’hanno via via portato a distrarsi sempre più costituendo un impedimento per i suoi apprendimenti, che risentono, appunto, della scarsa capacità di concentrazione.
In accordo, le docenti hanno deciso di osservarlo nei vari momenti della giornata scolastica per cercare di capire il problema e aiutare il bambino secondo i suoi reali bisogni educativi.
L’alunno si muove in maniera scomposta quando è al suo posto; alza il tono della voce fino a gridare, sovrapponendosi all’insegnante e agli altri bambini; risponde in modo sgarbato e spesso arrogante se gli si chiede di lavorare e rimanere al proprio posto.
Si alza di continuo durante le lezioni, senza preavviso, correndo e infilandosi sotto i banchi dei compagni, gridando e ridendo, diventando anche aggressivo con i compagni.
Si rifiuta spesso di ascoltare e lavorare già dai primi momenti di lezione.
Si ha l’impressione che il bambino arrivi a scuola in uno stato di tensione latente che si accentua con la stanchezza.
Se ripreso, aumenta ancor più l’ansia e l’imprevedibilità delle sue azioni: lancia i propri quaderni, astuccio, libri in aria e fa lo stesso, correndo tra i banchi, con quelli dei compagni.
Legge sillabando, sa contare fino a 10 (ma sembra non avere buona logica) e ha bisogno continuamente dell’aiuto dell’insegnante, per portare a termine il lavoro scolastico.
“Socializza” solo col gruppo che ha frequentato alla Scuola dell’Infanzia, con cui ha, spesso rapporti conflittuali.
Tentativi già avviati:
1.    concentrare il lavoro nella prima parte della mattina, quando e se l’alunno e’ ben disposto;
2.   lavorare sull’autostima per cercare di destrutturare l’ansia da prestazione;
      3.  potenziare l’area relazionale con lavori di gruppo, attività ludiche, attività di discussione tra pari, come il circle time, ricercare e riconoscere le emozioni, attività di tutoraggio alla pari, proprio per migliorare i disturbi del comportamento e della condotta e stemperare l’aggressività.

2 commenti:

  1. L'alunno F. frequenta la classe prima e sin dall'inizio ha mostrato un
    completo rifiuto nel rispettare le regole.
    Presenta tutt'ora alcune difficoltà e mostra tempi di attenzione e
    concentrazione piuttosto brevi; spesso si rifiuta di eseguire compiti in
    classe o di ascoltare con interesse, pur essendo molto capace ed
    intelligente.
    Nelle ultime ore della giornata scolastica, in particolare, si distrae
    facilmente, senza alcun motivo inizia a giocare con qualunque oggetto a
    sua disposizione,si muove in continuazione e si alza ma sopratutto ricerca
    quasi "ossessivamente" i compagni maschi, chiamandoli in continuazione,
    alzandosi e provocandoli per indurli a giocare con lui; non desiste fino
    a quando non riesce ad attirare la loro attenzione, per cui in questi
    momenti non solo non segue la lezione e non lavora ma disturba i compagni
    e crea un clima di tensione in classe.
    F. non mostra aggressività nei confronti degli adulti o dei compagni, in
    alcuni momenti è molto affettuoso.
    Sembra ancora molto legato al gioco, elemento per lui fondamerntale.
    Al di fuori del contesto classe, la situazione sembra peggiorare, in
    occasione della recita scolastica ha assunto un atteggiamento di forte
    ribellione, si è completamente rifiutato di partecipare e pur dinanzi ad
    adulti e ad estranei ha disturbato i compagni.
    Tali atteggiamneti non sono, comunque, presenti quotidianamente ma solo in
    determinati periodi e di recente sembrano leggermente attenuati sopratutto
    da quando la famiglia partecipa e collabora maggiormente alla sua vita
    scolastica.

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  2. Prof. Ameruoso, sono una insegnante di scuola dell'infanzia.
    Cercherò molto brevemente di porle una brevissima domanda.
    Condivido il mio percorso scolastico di insegnante con una collega e
    seguiamo un gruppo eterogeneo di bambini. Una domanda che spesso ci
    poniamo riguarda i comportamenti impulsivi di un bambino di cinque anni.
    A. è un bambino dolcissimo, desideroso di tanto affetto ma capace di darne
    anche tanto, sia agli adulti che ai compagni. Adora infatti i suoi amici
    ma basta che loro dicano una parola che non accetta o che un gesto sia da
    lui mal interpretato che reagisce urlando, piangendo o con reazione
    motorie poco consone alla situazione. Per il resto A. è intelligente, in
    grado di portare avanti le consegne e ama giocare con strumenti
    informatici. A casa usa "abbastanza" il game-boy. Noi docenti stiamo
    lavorando molto sul gruppo attraverso un'analisi di tipo funzionale: ora
    infatti sono gli stessi bambini che riconoscono come sia stato proprio il
    comportamento di un bambino (antecedente) a determinare la conseguenza
    legata al comportamento di A. In questi comportamenti di A. notiamo e si
    legge chiaramente tanto bisogno di attenzione, ma anche per noi docenti a
    volte è difficile e ... il rimprovero scatta. Allora ci chiediamo e in un
    confronto allargato Le chiediamo: rimprovero motivato SI o rimprovero No.
    Inoltre, l'allontanamento dal gruppo potrebbe secondo Lei aumentare il
    disagio che già di per sé A. prova in seguito al suo comportamento ma che
    non riesce a reprimere se non supportato dall'adulto?
    I genitori di A. sono molto dolci ed affettuosi con entrambi i loro
    bambini: ma anche a casa A. - dicono - manifesta questo tipo di
    comportamenti con il suo fratellino. Probabilmente perché anche lì c'è
    qualcuno che lo "induce" a quel comportamento?
    Ora A. tende ad esplorare ed esprimersi anche a livello orale: leccare,
    baciare, mettere tappi in bocca.
    La ringraziamo per la sua disponibilità, le insegnanti di A.

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